L'effetto fotoelettrico fu scoperto nel 1887 da Hertz ma venne spiegato solo nel 1905 da Einstein grazie alla teoria sulla natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica.

L'effetto fotoelettrico è il fenomeno della possibile emissione di elettroni da parte degli atomi di una superficie metallica quando questa viene investita da una radiazione elettromagnetica.

Effetto fotoelettrico

Questo fenomeno è caratterizzato dalle seguenti proprietà:

  1. l'emissione o meno di elettroni dipende dalla frequenza della radiazione elettromagnetica incidente. In generale, esiste una frequenza soglia fs, che varia da metallo a metallo, per cui solo la radiazione elettromagnetica con frequenza maggiore di detta soglia produce l'emissione di elettroni (fotoemissione).
  2. Il numero di elettroni emessi (fotoelettroni) è proporzionale all'intensità della radiazione elettromagnetica incidente.
  3. L'energia dei fotoelettroni è indipendente dall'intensità della radiazione elettromagnetica incidente ma varia linearmente con la frequenza di quest’ultima.

La fisica classica non è in grado di spiegare l'effetto fotoelettrico. Infatti, secondo l'elettrodinamica classica l'energia trasportata da un'onda elettromagnetica è proporzionale all'intensità dell’onda ma è indipendente dalla frequenza della stessa. Non è possibile quindi spiegare perché l'effetto fotoelettrico ha una soglia che dipende dalla frequenza, e non dall’intensità, della radiazione elettromagnetica incidente, e perché anche l'energia dei fotoelettroni dipende dalla frequenza della radiazione elettromagnetica incidente.

Per spiegare l'effetto fotoelettrico Einstein formulò l'ipotesi che la radiazione elettromagnetica oltre ad avere una natura ondulatoria presenta anche una natura corpuscolare ovvero è costituita da pacchetti discreti di energia o quanti, poi denominati fotoni, aventi un’energia:

dove f è la frequenza della radiazione elettromagnetica, e h è la costante di Planck.

Suppose inoltre che quando la radiazione elettromagnetica incide su una superficie metallica, ogni elettrone degli atomi di detta superficie non interagisce con l’intera radiazione elettromagnetica ma solo con un singolo fotone. Durante questa interazione il fotone cede all’elettrone tutta la sua energia, e l’elettrone si ritrova quindi con un’energia aumentata di una quantità pari a hf. Una parte di questa energia assorbita, denotata con W e detta lavoro di estrazione, viene spesa dall’elettrone per separarsi dall'atomo (il valore di W varia da metallo a metallo), mentre l'energia restante si converte in energia cinetica dell'elettrone fotoemesso:

La teoria sulla natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica consente di spiegare anche la proporzionalità tra numero di fotoelettroni ed intensità della radiazione elettromagnetica incidente. Infatti, secondo questa teoria l'intensità della radiazione elettromagnetica è rappresentata dal numero di fotoni, di pari energia, che nell'unità di tempo incidono sull'unità di superficie, per cui maggiore intensità significa numero maggiore di fotoni incidenti sulla superficie metallica, e quindi numero maggiore di fotoelettroni.

Come si vede, la teoria di Einstein sulla natura quantistica della radiazione elettromagnetica è in grado di spiegare l’effetto fotoelettrico, tuttavia, come sappiamo, non fu accettata per diversi anni da una parte importante della comunità scientifica. Solo nel 1921 l'aspetto corpuscolare della radiazione elettromagnetica fu confermato definitivamente grazie agli studi sperimentali di Arthur Holly Compton.

Per i suoi studi sull'effetto fotoelettrico e la conseguente scoperta dei quanti, Einstein ricevette il Premio Nobel per la fisica nel 1921.

Ad oggi, la teoria sulla natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica è l’unica in grado di spiegare l’effetto fotoelettrico.